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L’invito alla cena degustazione per la presentazione del nuovo Camboi 2019 di Castello di Meleto è stato molto gradito. Conoscevo l’azienda a grandi linee, per quanto la si possa apprezzare durante gli assaggi in una manifestazione, come l’ultima Chianti Classico Collection per esempio ( leggi qua il mio racconto ), oppure durante l’acquisto in enoteca od al ristorante.

L’incontro con l’azienda di Gaiole in Chianti è avvenuto in occasione del mio viaggio nella Capitale per il press tour di Roma Doc ( clicca qua per il mio contributo su 20Italie ): mi sembra doveroso ringraziare l’agenzia di comunicazione Gheusis per avermi accolto e fatto conoscere al meglio questa bella realtà chiantigiana.

La location scelta per la cena è il Ristorante Achilli al Parlamento di Roma, uno dei più affascinati della città, anche in virtù di una carta vini davvero di ottimo livello. Al tempo stesso credo sia degna di menzione la cucina dello Chef Pierluigi Gallo, il quale è riuscito ad abbinare piatti ricercati senza coprire o snaturare la verve dei vini in degustazione.

Un pò di storia e di aneddoti riguardanti Castello di Meleto

Veniamo però ora a Castello di Meleto ed alla sua antica storia, partita dal XI secolo attraverso trasformazioni e passaggi di proprietà. Sono arrivate fino ai giorni nostri le testimonianze del 1256 in cui si citava Meleto in Chianti all’interno del Libro degli Estimi dei Guelfi fiorentini. Nonostante un periodo di possesso da parte della famiglia Ricasoli-Filidolfi, la tappa più importante per Castello di Meleto è l’anno 1968.

Serviva un’intuizione, apparentemente folle tanta era la sua genialità, per risollevare le sorti del Castello e dei vigneti che versavano in uno stato di semi abbandono. La mente creativa di Gianni Mazzocchi, fondatore della casa editrice Editoriale Domus e della rivista Quattrosoldi, ideò una campagna di raccolti fondi, un crowfunding ante litteram, per salvare la tenuta dall’oblio verso il quale sembrava indirizzata.

SI chiamava Operazione Vigneti e sfruttava le possibilità date dal Piano Verde, manovre finanziarie statali volte a ricostruire il settore agricolo italiano nel pieno boom economico degli anna Sessanta. Si narra che all’epoca un fondo americano avesse messo gli occhi sopra all’affare del Castello di Meleto, rimasto in mani italiane grazie alla lodevole iniziativa pensata da Mazzocchi.

Alla raccolta fondi aderirono circa mille soci, ognuno con una propria parte di azioni, il cui totale servì per acquistare la tenuta ed iniziare l’opera di consolidamento e restauro degli immobili e dei vigneti. Ancora oggi molte di quelle famiglie sono proprietarie della tenuta, nonostante il numero dei soci sia arrivato quasi a 1600.

Si arriva a giorni nostri con un’azienda che ha fatto della rinascita del luogo, del Castello e delle colture i suoi punti di forza. La produzione vinicola è centrale, al tempo stesso assistita da quella di olio e miele. Gli ettari vitati sono 130, oggi tutti convertiti in biologico e divisi in sei macro parcelle, ognuna delle quali circondata da boschi.

Mappa degli appezzamenti di Castello di Meleto
Mappa degli appezzamenti di Castello di Meleto

I terreni variano molto, passando attraverso alberese, arenaria, galestro ed argilla: la zonazione effettuata su tutti gli ettari della tenuta permette di realizzare prodotti diversi e che esprimano al contempo la tipicità dei suoli e dei vigneti da cui provengono. Per questo a Castello di Meleto si è soliti fare numerose micro vinificazioni, in modo da lasciare inalterati i potenziali di ogni zona di provenienza. Estensioni così ampie richiedono però anche molte attenzioni, aldilà delle pratiche agronomiche: per esempio si parla di circa 60 chilometri di recinzioni per evitare danneggiamenti da parte degli animali selvatici, oppure di centraline meteo, installate in tutti i vigneti, per monitorare l’andamento delle condizioni climatiche ed intervenire nel miglior modo con i trattamenti in vigna.

È il momento di raccontare i vini di Castello di Meleto

Aperitivo e benvenuto dello Chef sono stati abbinati al Metodo Classico Dosaggio Zero 2008 da Sangiovese che ha sostato 170 mesi sui lieviti. Non sono mai stato un fan delle bollicine da Sangiovese, complici anche moda e trend del momento di avere in gamma uno spumante metodo classico.

Quanto è bello però nella vita ricredersi ed abbandonarsi al nuovo, sapendo che non sempre si può avere ragione. È quello che ho provato di fronte al calice di questo spumante sui generis, sia per la durata dell’affinamento che per l’espressione nel calice. Sentori di idrocarburi, tracce fumè, frutta secca, albicocca candita, scorza di agrumi, noce moscata, burro fuso, croissant, uva passa, caffè e liquirizia in perfetta amalgama ed intensità fra loro. In bocca è avvolgente, carico di sapori, cremoso e sapido, donando una bollicina densa, vellutata e perfettamente integrata nel dinamismo e nella lunghezza del sorso.

La tipicità dei suoli di Castello di Meleto si è notata alla perfezione nelle tre varianti di Chianti Classico Gran Selezione 2019 presenti, ognuna proveniente da un diverso vigneto.

  • Gran Selezione Poggiarso 2019: Poggiarso è la vigna più alta, che arriva fino a circa 530 metri e con prevalenza di alberese, oltre ad un dislivello tra parte bassa ed alta del vigneto di quasi 100 metri. Delicato al naso, si esprime con note di marasca, mora e prugna che si uniscono a ricordi ematici e ferrosi, foglie di tabacco, cannella e sottobosco. Al palato riempie con succosità fruttata, giusto calore alcolico e tannino deciso che non toglie comunque spazio all’acidità ed alla salivazione. Chiude con china, menta e oliva nera..
  • Gran Selezione Trebbio 2019: da vigneti a circa 390 metri d’altezza appare subito più carnoso, ematico, più scuro nel tratto fumé, decisamente balsamico e con profumi di frutti neri ben polposi. Cuoio e pellame si uniscono a susina nera e prugna, unite da un sottofondo di terricio umido. In bocca è più rotondo, fitto e saporito, alternandosi a ricordi di arancia sanguinella che distendono la bevuta. Meno pieno nel finale, chiude con tratti salini, balsamici ed erbacei.
  • Gran Selezione Casi 2019: appaiono subito nitidi i profumi di erbe aromatiche, accenni di fiori secchi, eucalipto, scorza di agrumi rossi, marasca, caffè, pepe nero, carruba e foglie di tè. Ricco al palato, più disteso in scioltezza e meno polposo degli altri due. Il corpo è più sottile, puntando su freschezza e lunghezza acida da ribes e pompelmo rosa. Il tannino è più tenue e sottile, mentre la bevuta resta sapida, giustamente calda e distesa per tutto il finale.
Vini di Castello di Meleto presentati al Ristorante Achilli di Roma

Dopo una bella panoramica di Chianti Classico Gran Selezione è il momento di volgere l’attenzione al Camboi 2019, un raro vino da Malvasia Nera, più usata nell’assemblaggio dei Chianti Classico piuttosto che rinvenibile in purezza. La Malvasia Nera ha origini greche, si è ben ambientata nel Meridione, sopratutto in Puglia, nonostante abbia trovato nell’entroterra toscano un altro luogo di elezione.

Il Camboi 2019 mi ha colpito per le iniziali note noir, sottili e tese, nell’insieme di erbe aromatiche, prugna secca, mora, cassis, foglie di tè, trama terrosa, alloro e muschio. Espressivo al palato, carico in ingresso grazie ad un frutto rotondo e saporito. Il tannino ha una buona cifra, mai eccessivo e ben integrato con freschezza ed acidità. Chiusura sapida e bevibilità a tutto tondo.

Infine il Vinsanto del Chianti Classico 2011, da Trebbiano unito a Malvasia Nera e Canaiolo, ha saputo chiudere degnamente la cena. Al naso ha portato profumi di agrumi canditi, fico, uva sultanina. frutta secca, zagara, fiori di arancio, mallo di noce, datteri e cioccolato bianco. La pastosità al palato non chiude lo spazio allo scorrimento dell’acidità, con un residuo zuccherino che non eccede in quantità totale. Lascia al palato ricordi di caffè, liquirizia, tabacco biondo e vaniglia. Ottimo non solo come fine pasto, ma anche per abbinamenti più anticonformisti.

Ringraziamenti e complimenti allo staff di Castello di Meleto

Durante la cena ho avuto la fortuna di conoscere alcuni elementi cardine della squadra di Castello di Meleto: il General Manager Michele Contartese, l’Enologo consulente Valentino Ciarla, il Responsabile di produzione Alberto Stella e la Sales Manager Diletta Catalano.

Ognuno di loro ha contributo nel racconto di questa atipica realtà, figlia di una visione imprenditoriale sicuramente unica nel panorama del Chianti Classico e non solo. Infine non posso che menzionare Silvia Baratta e Silvia Fogliani dell’agenzia di comunicazione Gheusis e Maria Grazia D’Agata di Mg Logos, che hanno saputo organizzare alla perfezione ogni aspetto della cena degustazione.

Non mancherò, come già anticipato durante la cena, di andare a visitare vigneti e cantina di Castello di Meleto per carpire ancor meglio l’identità e l’essenza dei loro vini.

di MORRIS LAZZONI

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Il vino è semplice da capire, basta avere passione

22 Maggio 2023. © Riproduzione riservata