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Se ne leggono di ogni riguardo allo stato di salute della ristorazione italiana, paragonando anche quello che succede in altri paesi del Mondo. Ogni luogo ha i suoi problemi, verrebbe da dire, pertanto mi concentrerò sui nostri, che proprio pochi non sono.

I problemi a cui oggi va incontro la ristorazione italiana sono di vario genere ed un semplice articolo sicuramente non potrà approfondirli tutti in contemporanea. Partendo da un tema decisamente attuale come quello dell’inclusione, del sessismo e delle questioni di genere ( come si racconta in questo articolo ), fino alle logiche finanziarie e gestionali di cui spesso si sente notizia, sopratutto quando si narra di ristoranti stellati che chiudono battenti.

Qualcuno per caso rimembra i casi di Noma, più volte insignito del premio come miglior ristorante del Mondo, che ha chiuso per costi insostenbili? Oppure, antecedente di qualche anno, crisi e pandemie varie, il caso di elBulli? Sempre la solita motivazione alla base della chiusura: costi insostenibili. Come dico spesso, scherzando a tinte noir, aprire un ristorante sarebbe l’ultima cosa che farei dopo il suicidio.

Si potrebbe continuare con motivazioni legate a costi, ritorno dell’investimento e guadagni possibili, ma una componente fondamentale dell’attuale stato di crisi è il modo in cui si lavora. Il web è pieno di testimonianze di ex lavoratori della ristorazione, a tutti i livelli di competenza e ruolo, che hanno deciso di abbandonare il settore dopo anni di rinunce, privazioni e mancanza di soddisfazioni personali.

Ristorazione italiana: problemi e cose da migliorare

Non avevo ancora trattato questo tema all’interno del mio blog, nonostante l’esperienza di lavoro nel settore. Avevo parlato del vino legato al mondo della ristorazione ( leggi qua per approfondire ), ma non mi ero mai spinto a trattare temi più delicati e “scomodi” come quelli che seguiranno. È un’analisi di alcune sofferenze del sistema, vissute in parte sulla propria pelle ed anche riferite da colleghi ed amici che hanno lavorato in ristoranti, hotel e trattorie.

Cosa bisogna aspettarsi quando si lavora all’interno della ristorazione

In alcuni casi sembra che operare all’interno del mondo della ristorazione italiana significhi quasi accettare un sacrificio totale, sulla cui riuscita è giusto immolare la restante ( poca ) parte della propria vita. Doppi turni, orari oltre il limite contrattuale, giorni di riposo saltati, paghe orarie che non corrispondono a quanto dovuto, pagamenti degli emolumenti in nero, mancanza dei contributi pensionistici versati e tanto altro ancora.

Dimenticavo…ingiurie, offese, urla e botte: perché anche questo capita in alcune cucine e sale anche di ristoranti ben conosciuti, ben pensanti e ben considerati da pubblico e stampa specializzata.

Alla luce di ciò balza subito evidente quanto sia ormai in caduta libera l’interesse verso questo settore, il quale non sempre garantisce tutele e diritti. Qualcuno ricorda gli annunci disperati di ristoratori ed imprenditori che, per tutto il 2022 ed il 2023 non trovavano personale per i propri locali? Credo che la continua carenza di personale nella ristorazione si potrà perpetuare anche nel 2024: attendiamoci pertanto i soliti titoli sensazionalistici di testate online e cartacee che, a cadenza quasi fissa, parleranno del problema così come il Tg2 Salute parlerà dei benefici di bere tanta acqua, di non stare al sole nelle ore più calde e della possibile sostituzione del pasto con un gelato in previsione dell’arrivo della stagione estiva.

Durante il periodo della pandemia, ed anche nei successivi mesi, molti addetti si sono spostati versi altri settori merceologici, oppure hanno deciso di passare la frontiera e dedicarsi allo stesso ruolo ma in veste diversa. Ecco che i reparti della grande distribuzione attirano panettieri, pizzaioli, camerieri, cuochi in fuga dalle cucine dei ristoranti per cercare “riparo” all’interno di supermercati ed ipermercati di varie insegne.

Neppure là si naviga nell’oro e le organizzazioni non sempre scintillano e brillano di luce propria: perlomeno si ha un cartellino da timbrare, in ingresso ed uscita, per il riconoscimento delle ore svolte, in certi casi i turni di lavoro prevedono giorni liberi durante il fine settimana, ed alcune feste comandate si possono passare con i propri cari e gli affetti personali.

Ristorazione italiana ed il male incurabile

Nei ristoranti ciò non è contemplato: un fine settimana libero è un’eresia, le feste molto spesso si passano al lavoro e, qualora si abbiano impegni personali o famigliari “inderogabili”, devono diventare derogabili e rimandabili a tempo da definirsi. Qualora si passi un pò di tempo in sala o in cucina si ascolteranno storie di genitori che hanno saltato le recite dei figli, che non possono andare alle riunioni con maestri e professori, che hanno perso il conto delle feste passate lontano dai propri affetti.

Ma anche quelle di persone, single o con famiglia, che non hanno tempo di andare dal dentista, piuttosto che fare una visita medica, magari programmata anche da tempo, perché ci sono sempre troppe prenotazioni per mancare dal lavoro.

In poche parole sembra che lavorare in un ristorante richieda l’accettazione di una missione monastica, al pari di una suora o di un monaco di clausura che dedicano anima e corpo a scopi ben superiori. I giorni in cui si è stanchi o malati vengono visti come manifestazione di debolezza e malcelata voglia di lavorare, i colleghi più forti caratterialmente compiono quotidianamente soprusi, battute maliziose ed offese personali verso quelli che sono più timidi, chiusi in loro stessi oppure semplicemente più rispettosi ed educati nei confronti del prossimo.

Come si potrebbe migliorare la ristorazione italiana?

Per anni chi lavorava in un ristorante era considerato come uno scarto della società. Le sale, e sopratutto le cucine, di trattorie e ristoranti hanno accolto qualsiasi genere di lavoratrice e lavoratore, italiani e non, che avessero o non avessero un titolo di studio. Molto spesso gli studenti universitari usavano ( lo fanno ancora? ) i ristoranti come lavoretto per arrotondare e guadagnare qualche soldo, al fianco di chi non poteva, per motivazioni sociali e/o culturali, pretendere di fare altro.

Da qualche anno la situazione è cambiata, almeno in parte, vista la sempre maggiore attenzione mediatica dovuta a programmi televisivi, testate giornalistiche specializzate e programmi di cucina sulle piattaforme televisive ed online. La formazione ed i corsi di specializzazione hanno portato fino alle porte della ristorazione italiana professionisti di sala e cucina che vorrebbero credere nel settore ed intraprendere una carriera in questo mondo.

Viene da chiedersi se ci sia ancora un’opportunità da prendere, studiando e formandosi per il mestiere che si vuole fare, oppure sarebbe opportuno migrare verso altri lidi od altri settori? Mi accorgo che in alcune situazioni la formazione non paga oppure non viene valorizzata: ristoranti ed alberghi sono pieni di uomini e donne non preparati, non formati od addirittura incapaci di eseguire il proprio ruolo con professionalità, ma che a volte godono dei favori della dirigenza o della proprietà.

I problemi della ristorazione superano anche i confini delle zone e delle località: che si parli di ristorante di periferia, trattoria nella zona industriale o locale di grido in mete turistiche di lusso non ci sono differenze. Capitano così scontri o discussioni per vedute diverse tra chi ha le competenze per migliorare, suggerire ed agire all’interno del ristorante e chi, al contrario, sa fare solo poche cose ed anche limitate perché “ha sempre fatto così” oppure non ha la minima idea di come poter evolvere e progredire.

So bene che quest’ultimo caso si può rinvenire anche in aziende di altro genere, sia pubbliche che private, in cui manager e dirigenti, come in una perfetta scena di “fantozziana memoria”, guidano i propri reparti od intere aziende verso crisi finanziarie quand’anche il fallimento totale.

Chi ha poche competenze ma gode di una poltrona comoda e lussuosa, molto spesso ha interesse nel mantenere lo status quo e nell’affossare chi potrebbe salire al comando: molto spesso non è neppure interesse del professionista “rubare” il posto dell’incapace, perché nella maggior parte dei casi gli basterebbe poter svolgere il proprio lavoro in modo corretto e proficuo. Ma si sa che la mancanza di formazione e cultura sono anche alla base degli atteggiamenti più beceri e di basso livello…

Ecco quindi che molti professionisti, che dovrebbero essere guidati da donne e uomini incapaci e non adeguatamente formati al ruolo, anch’essi perdono fiducia nei confronti di quel posto di lavoro, del mestiere e del settore in sé. Il fuggi fuggi dalla ristorazione continuerà a sperperare il proprio capitale umano oppure ci sarà un’inversione di tendenza?

Vedendola dall’interno mi sembra che la situazione non sia rosea. Qualcuno ha idee per migliorare?

di Morris Lazzoni

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3 Gennaio 2024. © Riproduzione riservata